Costo del lavoro, tabelle ministeriali derogabili

Negli appalti pubblici di lavori, servizi o forniture, i valori del costo del lavoro fissati dalle tabelle ministeriali rappresentano dei semplici indici di adeguatezza dell’offerta aggiudicataria e possono quindi anche considerarsi derogabili.
Lo ha ribadito, confermando un suo precedente orientamento, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1743 del 2 aprile 2015:
I valori del costo del lavoro del personale addetto, risultanti dalle tabelle ministeriali, costituiscono semplicemente un parametro di valutazione della congruità dell’offerta. L’eventuale scostamento da tali parametri delle voci di costo nell’offerta non legittima, di per sé, un giudizio di anomalia.
Dunque è ammissibile che l’offerta si discosti dai valori medi del costo del lavoro, purché tale scostamento non sia eccessivo e purché vengano salvaguardate le retribuzioni minime dei lavoratori, stabilite in sede di contrattazione collettiva.
Dunque i valori ministeriali del costo del personale (e così gli eventuali costi indicati dalla stazione appaltante nel bando di gara) devono fungere da semplici importi “medi” e “tipologici” che non vincolano tutte le imprese, naturalmente diverse le une dalle altre per caratteristiche, agevolazioni e sgravi fiscali ottenibili.
Pertanto, sia in gare d’appalto da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso che in quelle da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, un costo del personale ribassato rispetto alle relative tabelle, anche in difformità da quanto prescritto nel bando di gara, non può considerarsi automaticamente indice di anomalia dell’offerta.
Difatti, anche se il bando di gara predetermini tali valori in base a delle “soglie tipo”, ciò non toglie che l’impresa possa dimostrare di poter sostenere oneri inferiori, purché nel rispetto delle disposizioni di legge e della contrattazione collettiva e giustificando eventualmente le proprie economie.
Al contrario, l’offerta può ritenersi anomala soltanto se il costo del lavoro in essa indicato appaia così “svalutato” da risultare eccessivo o incongruo: cioè solo se uno spropositato ribasso rispetto ai valori medi pregiudichi la salvaguardia delle retribuzioni minime dei lavoratori, in contrasto con quanto stabilito dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
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